Con gli occhi chiusi

Con gli occhi chiusi

It’s a beautiful morning morì nel vuoto della stanza, come un saluto. Lei usciva presto, i piedi scalzi che frusciavano sul legno fino alla porta, il rumore della serratura e, in cucina, una nuova canzone. L’annuncio del fronte freddo in arrivo, le prime notizie del giorno. Garden Grove assomigliava a tutto ciò che lei aveva sempre immaginato, gli aveva detto un anno prima, Judy, a letto. La sua radio, il mattino, faceva assomigliare quel luogo a ogni altro angolo del pianeta. Solo il silenzio ti concede di sentirti esattamente dove sei, pensava lui. Il silenzio e il rumore del vento, fuori. Quello amava pensare, dopo che lei l’aveva lasciato. Non dura a lungo, una storia, se la radio ti sveglia, la mattina, e lei sorride, gli occhi chiusi, ascoltando la canzone che la accompagnava a Kilburn, dall’altra parte del mondo, prima di conoscerti e di invertire le stagioni.

Dopo un anno, lui aveva deciso di riprovare.

Alle prime luci di un autunno australe, nella penombra, l’aveva accesa, quella radio, sintonizzandola sulla stazione delle fottute easy oldies, le preferite da Judy.

Garden Grove profumava di fiori e di città insieme. Li distingueva entrambi, Josh, quegli odori. Lo faceva ogni giorno, appena uscito dal caffè, catturato dalla Bouganvillea fiorita oltre il semaforo. Ogni automobile, a Johannesburg, scorreva in silenzio davanti ai suoi occhi, come le ore del giorno e quel sole invernale e perenne, e l’aria frizzante che, a quell’altitudine, respiri senza fatica. E Judy, all’inizio, annusava quella primavera, guardandolo.

Non c’erano siringhe dimenticate sul tappeto, quando vivevano insieme. Solo musica e scatole di cartone di take away ben riposte sopra il cestino dei rifiuti. Era ordinata, Judy. E attenta, accurata, quando lo aiutava. «Promettimi che avremo un cane», gli ripeteva ogni giorno: il giardino era piccolo, ma sufficiente ad accoglierlo. E si guardavano, senza sorridere. Un cane non li avrebbe denunciati, ne erano certi. Judy parlava di quel cucciolo dopo essersi stesa per prima, in attesa dell’onda madre che tutto porta via e ti accarezza. Li avrebbe osservati, quel cane, allo stesso modo, senza un sorriso. Per questo lo desiderava e lo descriveva a occhi chiusi, senza trascurare alcun dettaglio. Poi, entrambi distesi, si smetteva di parlare e, d’un tratto, scompariva la voglia di tenersi la mano.

Come alla fermata di un bus che passerà di lì a poco: si sale insieme e poi ci si ritrova passeggeri, ciascuno concentrato sul proprio equilibrio instabile.

Accese la radio, Josh, e tornò a letto. Il notiziario procedeva a rilento, dominato dalle notizie salienti, una marcia di protesta per gli affitti, l’imminente discorso alla nazione. Spense la luce della stanza. Arrivò la prima canzone, poi le altre, a seguire, senza interruzione. Gli sembrò che lei fosse lì, le labbra mosse da quel sorriso che accompagnava i suoi risvegli, un avambraccio sul cuscino, dietro i capelli. Fuori, un’auto a turbare il silenzio e gli Ibis del mattino, gli uccelli che parlano solo in volo, un gracchiare così simile al riso delle persone da sembrare vero.

Lei era di nuovo a Kilburn, immaginò. Senza primavera, senza colori. Respirò a fondo e sentì l’umido del lenzuolo sul petto, e la stanza in ombra, e l’auto ormai lontana. L’immenso polmone verde della città si sta svegliando, avrebbe detto Judy sottovoce. Dopo quelle parole, si immaginavano alberi, e animali, e insetti guardare in silenzio la metropoli più verde del mondo che, senza troppo rumore, si preparava al nuovo giorno. Quello, fantasticavano distesi, e assomigliava a un film guardato ad occhi chiusi, prima di addormentarsi di nuovo.

Aveva lavorato in un ristorante italiano del quartiere, Judy. Là avevano assaggiato il miglior piatto della loro vita, spaghetti e uovo e bacon che non si chiamava così, e lei sembrava felice, allora. Josh era immobile. Ascoltare la musica, da solo, il mattino, gli provocò la paura di sempre, la sensazione di non essere lì, dove si trovava. Immaginarla altrove, Judy, era un sollievo. Lui l’aveva ridotta in quel modo, senza un motivo.

Si mise a sedere, in cucina. Abbassò il volume della radio, il metallo illuminato dal sole ormai caldo. Squillò il telefono. Non rispose. Non era stata un’idea brillante, quella della radio, la mattina presto, e lo sforzo per non sentirsela accanto, per ignorare le sue dita, la sua voce così diversa dal conduttore del programma delle 6am, l’aveva agitato. Preparò ogni cosa, Josh, senza fretta. Fuori, il tremore delle foglie e l’aria profumata erano un tutt’uno. Aveva ragione, Judy. La metropoli si sveglia come un gigante che non fa rumore e, quando la senti, di fuori, muove pensieri di nostalgia.

Rilasciò la presa sul braccio, intorpidito. Senza parlare di cani, di musi, di zampe, tornò a sdraiarsi sul letto. La stanza era solo luce e riflessi dell’acqua, un tremolio azzurro proveniente dal giardino. In quel momento, in piscina sarebbe annegato con dolcezza, senza fiatare, così come lei era partita, un anno prima. Sottovoce, in cucina, la radio continuò senza sosta, per tutto il giorno e la notte.

Corrado Passi
Corrado Passi per la rivista Narratio Memoriae


scritto da:

A quarant’anni lascia la professione medica e si trasferisce in Sudafrica, dove vive. Ha scritto la guida Cape Town (Polaris 2016), i romanzi Oltre la vita felice (Polaris, 2017), La jacaranda fiorita (Il Seme Bianco 2017), L’intensità della luce (Emersioni, 2018), Los Angeles, paradise (Emersioni 2019), Rego Park (Castelvecchi, 2021), Liturgia delle pianure (ReadAction Editore, 2023), Il sogno assassino (Castelvecchi, 2024).

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