Nessuna domanda

Nessuna domanda

Partirono, il mattino presto, sotto un cielo grigio di nubi, con l’umidità della notte a velare il cruscotto. A Stephen sembrò di guidare verso un luogo che già conosceva, segnato da lei, sulla cartina, con la matita rossa. L’autostrada si sdoppiava, ogni rampa di uscita arrotolandosi per seguire direzioni opposte, diramazioni che portavano chissà dove. I loro pensieri, in quel momento, procedevano anch’essi come l’auto, obbedivano a ciò che, senza pause, scorreva di lato.

A Van Nuys, annunciò il giornalista alla radio, era in atto una capillare caccia all’uomo. Incontrarono un posto di blocco e Liuba sussurrò «Steve, ti prego, dì loro che siamo in vacanza». Il poliziotto non fece domande sul motivo di quel viaggio all’alba. Chiese solo di ispezionare l’auto. Stephen scese e aprì il bagagliaio. Non c’era alcun evaso, nascosto là dietro, e il graduato lo guardò dritto negli occhi. «Fate attenzione. Sono pericolosi. Due bianchi, sui trent’anni». Ripartirono, salutando con la mano, e Liuba si accese una sigaretta. Sembrava una maledizione, pensò Stephen, quella coincidenza degli evasi. Se li immaginò, a bordo di una Caprice targata Sonora, in fuga verso il Sud del mondo.

Deviarono, a Santa Clarita, seguendo le indicazioni per il Mojave, e ogni immagine, sotto il sole, divenne solo arbusti e polvere. Liuba fumava in silenzio, rivolta al finestrino, gli occhi a fissare case e recinzioni lontane. Verso mezzogiorno abbandonarono la nazionale. Quando l’auto iniziò a sussultare sulla strada sterrata, lei sorrise senza convinzione, come se stesse pensando ad altro. Tra le pietre e i rami secchi cercò una pista di terra battuta, una via di fuga, un nascondiglio.

Intorno, nessuno. Mancavano poche miglia al deserto, quello vero, dove la terra è rossa di sangue e l’orizzonte è sempre prossimo al tramonto.

Superarono un campo da baseball in disuso, cartelli bruciati dal sole, una scuola inesistente. Nessuno, da quelle parti, avrebbe mai potuto sperare di incontrare un confine.

Rallentarono. Sullo sfondo, lei scorse una rilievo più scuro, e lo indicò a Stephen. Non c’era nessuna collina, le rispose: era solo un gioco di luce, una sensazione illusoria. La collina, laggiù, scomparve davanti agli occhi di Liuba, e così fece la strada che stavano percorrendo a passo d’uomo. Erano arrivati, gli disse. Stephen sentì, sul volante, l’umido dei polpastrelli, e il respiro superficiale di lei che annusava l’aria secca. Avevano temuto a lungo quel momento. Erano là dove si erano immaginati, un giorno, di tornare. Lei cercava un fantasma; l’aveva perseguitata in mille modi, la sera, prima di addormentarsi, davanti ai suoi occhi spenti di donna sola.

Non giunsero mai al deserto. Liuba gli chiese di fermarsi prima. Quello era il posto, gli ripetè. La Corolla si spense con una vibrazione metallica, terminale. Così avrebbe fatto un treno, pensò lui concentrandosi su quel fremito meccanico, l’unico rumore amico in quel dannato deserto. Lei scese, in mano il pacchetto di sigarette e l’accendino. Camminò per un tratto, guardando il terreno sassoso, quasi temesse di riconoscere un segno, una croce. Sapeva che non avrebbe trovato nulla, non c’erano segreti da svelare tra gli arbusti, ma per un istante lo desiderò più di qualsiasi cosa. Si fermò, tastando il terreno con la scarpa. Nulla si mosse, intorno. Non un fruscio, né il rumore del vento. Tornò all’auto e gli chiese se anche lui fosse convinto di essere arrivato a destinazione.

«L’abbiamo lasciato proprio qui, quella notte», gli sussurrò.

Si calmarono. Ci credevano entrambi, ora. Liuba guardò nella direzione di una possibile via di fuga ma non ne trovò. Correre, da quelle parti, non portava altrove. Se corri, si disse, e ti hanno appena ferito, sei già morto, su quel terreno grigio e pietroso. Non aveva mai pensato a questo, per cinque anni, e si sentì ingenua come lo era stato Dave quando era arrivato lì, per farsi ammazzare da loro.

Lontano si udì un rumore, il sibilo di un animale.

Era un’auto in corsa, seguita da una nuvola di polvere che sembrava fumo. La pattuglia si fermò sul ciglio della strada e chiese loro se fosse tutto a posto. «Fate attenzione. In questa regione ci sono due evasi in fuga». Liuba fissò il sergente. Era un bianco, forse trent’anni, la divisa incollata alle braccia sudate e lo sguardo imbarazzato di chi non ne ha ancora viste abbastanza. Non chiese loro la patente, né dove fossero diretti. «È gente pericolosa. Seguitemi fino all’autostrada», disse il poliziotto, indicando con la mano la direzione opposta alla collina appensa scomparsa.

Ripartirono, la Corolla ormai irriconoscibile, ansimante e rossa di terriccio screpolato. Liuba si mise al volante. Mantenne la distanza di sicurezza per mezzo miglio poi, all’improvviso, rallentò. Pensò di fuggire, come gli evasi, lanciandosi verso quella collina che era certa di aver visto poco prima. Stephen disse «Accelera, lo stiamo perdendo» e l’impulso di Liuba abortì tra le sue mani. Ai lati, solo sterpi aggrappati al terreno, onde di un mare grigio di polvere.

La Corolla non li avrebbe portati lontano e, per loro, sarebbe finita male. Nel deserto, quando si insegue un’auto della polizia, di solito qualcuno prende la mira e inizia a sparare. Capita spesso, da quelle parti. Lo sapeva, Liuba. Che si tratti di un uomo o di un cane randagio – quest’ultimo, prima di cadere, lancia il lamento finale, un gemito infantile – nulla cambia, nel deserto.

Corrado Passi
Corrado Passi per la rubrica Narratio Memoriae


scritto da:

A quarant’anni lascia la professione medica e si trasferisce in Sudafrica, dove vive. Ha scritto la guida Cape Town (Polaris 2016), i romanzi Oltre la vita felice (Polaris, 2017), La jacaranda fiorita (Il Seme Bianco 2017), L’intensità della luce (Emersioni, 2018), Los Angeles, paradise (Emersioni 2019), Rego Park (Castelvecchi, 2021), Liturgia delle pianure (ReadAction Editore, 2023), Il sogno assassino (Castelvecchi, 2024).

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