Un mattino, lungo la N14 Highway

Un mattino, lungo la N14 Highway

Deserto, le aveva detto scandendo ogni parola, è dove smetti di pensare che esisti. Dove tutto il resto è l’unica cosa che, in quel momento, ha importanza. «Anche l’Upper East Side?», aveva sussurrato Bella. «Anche quello», le aveva risposto lui. «Anche la subway?». Warren l’aveva guardata socchiudendo gli occhi, per un istante. Così faceva, prima di irritarsi. «Certamente. Anche quella. Ovunque tu, senza fatica, riesci a dimenticarti, è deserto».

Questo accadeva prima che lui partisse.

Il distacco, nell’emisfero sud, genera domande nuove. Rimangono a lungo sotto la coltre umida dell’imbarazzo, dello sconveniente, quel velo scuro sufficiente a coprirle per intero. Riposano, i dubbi, in attesa che qualcuno, nell’ansia che precede il distacco, li liberi come foglie, nuvole che durano il tempo di un mattino. «Anche in mezzo agli altri, succede?», aveva chiesto Bella. Aveva capito che il deserto, da quelle parti, c’era davvero, e per trovarne un altro, quello che ci immaginiamo, doveva cercarlo altrove. «Puoi starne certa», aveva ripetuto lui, e le montagne brune, così nitide, contro il cielo, che potevi toccarle, sembravano più vicine, e diverse dal solito.

Warren stava partendo, e lo si capiva dall’asfalto che le gomme divoravano e dal suo respiro.

Guidava senza fretta, quasi fosse un mattino come tutti gli altri. L’auto, quella strada, la conosceva a memoria, e l’ora e mezza, di lì a poco, sarebbe finita. Bella si accarezzò il ginocchio. Sotto i pantaloni la pelle era fredda, assonnata come la luce del mattino appena nato. Al ritorno, in silenzio, avrebbe percorso di nuovo la nazionale, l’unica che portava a casa. Avrebbe trovato il sole già alto, pensò, e la luce bollente che inventa quello strano gioco dell’acqua che appare sull’asfalto. La vedi, ma non c’è, e lo capisci in ritardo. Ci resti male. Quando, per un mese, devi sbrigartela da sola, si disse Bella guardandogli le mani sul volante, il giorno o la notte non fanno alcuna differenza e i rumori della casa assomigliano a quell’effetto illusorio della strada bagnata. Warren accese la radio, sintonizzandosi sulla stazione che a lei piaceva, quella delle notizie dal mondo. Non c’era altro da fare, nel Great Karoo, la mattina presto, in auto verso l’aeroporto regionale.

Warren avrebbe salutato suo padre per l’ultima volta. Un viaggio terminale. Così lui chiamava quel volo, preso di corsa per arrivare in tempo e poterlo vedere, ma a Bella quella parola in più, così simile alle insegne dell’aeroporto, non era piaciuta. Così accade, quando vuoi chiamare per forza le cose, anche quelle più dolorose, gli aveva detto pochi giorni prima, e lui si era rabbuiato e non aveva risposto. Non rispondeva mai, Warren, se la sofferenza diventava visibile e assumeva un nome, un volto. E così faceva, guidando, gli occhi immobili sulla striscia nera, in mezzo alla polvere, ferma anch’essa, intrappolata nell’umidità del mattino.

Gli aveva chiesto di lasciarle la giacca di pelle nera, riposta sul sedile posteriore.

«Almeno quella», gli sussurrò di nuovo, spegnendo la radio. Se, al suo arrivo, fosse stato ancora vivo, le rispose Warren, avrebbe voluto che suo padre lo vedesse in ordine, a posto. «Ci tengo, Bella. È un uomo all’antica», le ribadì, e respirò a fondo, quasi inghiottisse, con l’aria, il proprio pensiero. È nostra, avrebbe voluto insistere, lei. Un suo regalo, ci era affezionata. Ti fidi di una persona, all’inizio, perché sorride di fronte alla giacca di pelle arrivata all’improvviso, per il compleanno: il tuo primo regalo, dopo averla conosciuta. Dal modo in cui la indossa, dalle sue mani attente mentre la toglie, senza fretta, e la ripone con cura sul divano, capisci che è già un inizio. Che, forse, ti porterà sempre con sè. Questo pensava Bella, e sentiva che la giacca di Warren le sarebbe mancata, e che lei, in quel deserto, proprio non riusciva a dimenticarsi di sè, di loro due. Di come la vita cambia sapore quando, per una settimana, o forse un mese, ci si separa.

Restò in silenzio, Bella. Gli sembrò di fargli del male, insistendo. Quel giaccone, di notte, a Johannesburg, all’uscita dall’ospedale, l’avrebbe riparato dal freddo, o da ciò che ci prende quando è finita davvero.

Corrado Passi
Corrado Passi per la rubrica Narratio Memoriae


scritto da:

A quarant’anni lascia la professione medica e si trasferisce in Sudafrica, dove vive. Ha scritto la guida Cape Town (Polaris 2016), i romanzi Oltre la vita felice (Polaris, 2017), La jacaranda fiorita (Il Seme Bianco 2017), L’intensità della luce (Emersioni, 2018), Los Angeles, paradise (Emersioni 2019), Rego Park (Castelvecchi, 2021), Liturgia delle pianure (ReadAction Editore, 2023), Il sogno assassino (Castelvecchi, 2024).

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