Se i lettori diventano elettori: Franco Arminio e l’equivoco della brevità

Se i lettori diventano elettori: Franco Arminio e l’equivoco della brevità

In un articolo pubblicato il 10 settembre 2020 su «Il Corriere della Sera», firmato da Franco Arminio, si sono ribaditi concetti abbastanza discutibili circa il ruolo della letteratura e della sua fruizione, posizioni che lasciano abbastanza perplessi. Sostiene Arminio:

Un mondo che si è fatto velocissimo richiede una letteratura semplice e breve, diretta e limpida. Questo non significa che si passa dall’espressione alla comunicazione, non significa che il chiarore faccia perdere intensità e complessità. Semplicemente bisogna prendere atto che oggi nessuno ha tempo da perdere con la letteratura che non sa consolare, non sa orientare.

Ci sarebbe da chiedersi per quale motivo si debba orientare e consolare un lettore e, soprattutto, per quale ragione ve ne sia la necessità. A parte capire il movente culturale di un intervento del genere, che magari Franco Arminio un giorno sentirà di voler dibattere in una sede opportuna e che non sia un profilo social o lo scranno di un evento dedicato a se stesso, faccio presente che sono tanti gli scrittori che amano scandalizzare, shockare, terrorizzare, strappare un sorriso oppure commuovere. Altri ancora vogliono semplicemente ammonire sulle conseguenze politiche e sociali ecc. (come, del resto, lo stesso Arminio ha fatto). Insomma, ogni autore si pone degli obiettivi che non possono coincidere con i desideri di tutti. La brevità non è un requisito né qualitativo né economico, (come dimostra la grande produzione di romanzi seriali), si tratta semplicemente di un godimento estetico per alcuni fruitori.

Lo spiegava molto bene Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane a proposito della rapidità: «Il secolo della motorizzazione ha imposto la velocità come un valore misurabile, i cui “record” segnano la storia del progresso delle macchine e degli uomini. Ma la velocità mentale non può essere misurata e non permette confronti o gare, né può disporre i propri risultati in una prospettiva storica. La velocità mentale vale per sé, per il piacere che provoca in chi è sensibile a questo piacere, non per l’utilità pratica che si possa ricavarne. Un ragionamento veloce non è necessariamente migliore d’un ragionamento ponderato; tutt’altro; ma comunica qualcosa di speciale che sta proprio nella sua sveltezza».
Ognuno percorre una via, successivamente sta ai lettori, ma soprattutto – e forse qui sarò impopolare – ai critici stabilire il valore di una letteratura. È a questi ultimi, inoltre, che spetta il compito di tramandare ciò che può diventare patrimonio comune. Il lettore comune, certo, può contribuire al successo e interrogare il critico, ma in genere non possiede strumenti di divulgazione.

Chiarito questo aspetto, la cosa davvero contestabile è l’idea dei lettori che emerge da certi discorsi. In questa prospettiva somigliano molto agli elettori di un partito politico da conquistare: per farlo bisogna intercettare il loro linguaggio, il loro modo di pensare. Quando Franco Arminio ne “I poeti hanno perso la poesia”, pubblicato su Doppiozero circa un anno fa, afferma che «bisogna avere l’umiltà di considerare che oggi i lettori sono più avanti dei poeti», si ha fortemente l’impressione di avere a che fare con un messaggio da campagna elettorale. Quante volte si sono pronunciate frasi in certi contesti politici, del tipo: «Gli elettori sono più avanti del loro partito»? Si fa fatica a immaginare una letteratura in competizione con se stessa per accaparrarsi dei lettori. Se in democrazia, in tempo di elezioni, si fa una scelta di campo precisa e al massimo, negli election day tanto in voga degli ultimi anni, si può optare per il voto disgiunto, ciò non accade con i libri. Chi impedirebbe a un lettore di acquistare in una libreria un Arminio e un Neruda insieme?

Queste divisioni su cosa vogliono i lettori generano una gran confusione e possono rivelarsi una bella presa per i fondelli. Se è vero che gli scrittori, inclusi i poeti, non hanno sempre ragione, è altrettanto vero che non ce la possono avere nemmeno i lettori. Se i lettori sono avanti, probabilmente nutrono delle aspettative disattese, ma in merito a cosa nessuno saprebbe dirlo, nemmeno Franco Arminio. Se i lettori sono detentori di una verità da rappresentare, si attuerebbe un rovesciamento storico, secondo cui chi scrive insegue un linguaggio che rischierebbe di essere compiacente e banale al fine di intercettare un numero di estimatori sempre più alto e a tutti i costi. Sui social network ce ne sono tanti di questi fenomeni: se è vero ciò che sostiene Franco Arminio bisognerebbe anche verificare se qualche autore da Instagram, in futuro, godrà di un qualche genere di credito spendibile per la comunità letteraria e, di conseguenza, per la gente comune.

Forse nemmeno il sottoscritto, più giovane di qualche anno, vivrà abbastanza per vederlo, ma sono convinto che i social siano un mezzo di diffusione, non la sede per decretare un valore. Il successo è altra cosa rispetto ai meriti di un’opera, abbiamo potuto constatarlo anche con il recente Premio Nobel per la Letteratura assegnato a Louise Glück, già vincitrice del Pulitzer e ai più sconosciuta, quasi del tutto ignorata dall’editoria italiana: una vicenda che ha mostrato i limiti evidenti di una proposta editoriale spesso appiattita su cliché e scelte discutibili, culturalmente inconsistente e poco gratificante anche sul piano economico.

Lasciano a desiderare anche certe considerazioni che non ci si aspetta da un poeta di lungo corso:

La letteratura che si ritiene seria e complessa e colta spesso è semplicemente una letteratura arrogante che odia i lettori per il fatto che hanno uno sguardo sulle cose che gli scrittori non hanno.

Si tratta di un atteggiamento anti-intellettualistico per il quale la nostra civiltà pagherà e sta già pagando un prezzo molto alto in termini culturali. Un intellettuale vero non disprezza i lettori, cerca di osservare e di rappresentare contraddizioni e conflitti insiti nell’animo umano o nella società. Il poeta è una coscienza non comune, è genio e visione, e potrebbe trovare il favore di una comunità di estimatori anche dopo la morte, come avviene per altri campi artistici. Sarebbe poi ingeneroso deresponsabilizzare i lettori. Anche il loro atteggiamento non stimola perché rivolge le proprie attenzioni su poche scritture di rilevo e non è un caso che le classifiche di vendita premino autori improvvisati come Corona o De Lellis o che la poesia costituisca circa l’1% del mercato editoriale in termini di vendite.

Tornando alla poesia, sostengo che sia poco diffusa perché il suo linguaggio, fatto di versificazione, di figure, di allusioni e di tutta una gamma molto ampia di espedienti retorici e linguistici, non viene trasmesso e che sì, di questo i poeti sono colpevoli perché dovrebbero essere i primi a sensibilizzare le persone su un sentire da nutrire con un genere di parola alternativa, lontana dagli slogan, dove, per esempio, un albero non è un albero, una madre non è una madre, una casa non è una casa. E affiorano alla mente le parole di Eugenio Montale quando, in una delle sue poesie più celebri, afferma: «Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».

Concludo con un’osservazione: le comunità non si inseguono, stare insieme significa condividere valori e prospettive tracciando un cammino da intraprendere. Le comunità si costruiscono e si alimentano giorno per giorno, non sopravvivono, per dirla con Franco Battiato, alimentando falsi miti di progresso, con buona pace delle migliaia di copie vendute da Franco Arminio il quale, godendosi un successo di vendite e di visibilità probabilmente anche meritato per la tenacia che lo contraddistingue, farebbe bene a ricevere una lezione di stile da Fabio Volo, consolidando il proprio successo attraverso l’interazione coi lettori, senza dover tirare in ballo certe questioni e gettarle nel calderone dei morti, dei buoi e dei paesi tuoi.

scritto da:

Vive in Ungheria, insegna Lingua e Cultura italiana a Budapest. È fondatore del gruppo Poienauti, moderatore di Poeti Italiani del ‘900 e contemporanei e portavoce di Versipelle. Collabora con exlibris20 e con Giuseppe Cerbino nella trasmissione web La parola da casa. Ha pubblicato Variazione Madre (Controluna-Lepisma floema).

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