Incontro con la poesia di  Paolo Menon

Incontro con la poesia di Paolo Menon

Prima parte

Questa intervista nasce in seno alla rubrica Lentissima intorno e folgorante. Con le interviste intendiamo dedicare attenzione alle pubblicazioni letterarie, di preferenza sillogi di poesia con l’intento di far conoscere i recenti libri editi e gli autori.

Incontriamo il poeta Paolo Menon che ci parla della sua poesia cogliendo l’occasione della pubblicazione del suo ultimo libro “Nel mio sguardo cermami” per Simonelli editore.

Caro Paolo, intanto vorrei chiederti come hai scoperto la passione per la scrittura, in particolare per la poesia? Come hai coltivato quest’ultima?

Nasce ai tempi del ginnasio con l’intento di esercitarmi a sintetizzare, o meglio, ad arginare l’esondante affabulazione di mia madre. Mia madre — debbo chiederti di pazientare se evoco il suo ricordo che sottende la risposta — non taceva mai, anche quando delegava i suoi monologhi al sorriso che col tempo avevo imparato ad “ascoltare”.

Nel quotidiano, mia madre era una donna di complicata semplicità, ma anche lettrice assidua di periodici e racconti, affascinata dalla teatralità dell’operetta di Mascagni, per citartene una. Così come dalle arie famose di Puccini, Verdi, Donizetti e da cantanti lirici come Corelli, Callas, Del Monaco e, non da ultimo, dai versi di Carducci e Pascoli, in particolare da La pioggia nel pineto di D’Annunzio, di reminiscenza scolastica. Insomma, mia madre era un fagotto di passioni da cui non si separava mai, passioni che riverberava sulla mia formazione extra scolastica e sul mio senso estetico. Le sue storie, trapuntate di ispirata aneddotica — credimi — avrebbero potuto trovare ospitalità persino tra le pagine di Pinocchio, se ciò fosse stato in suo potere.

Su questo chroma key, come direbbero oggi i registi, dove ho proiettato alcuni flashback adolescenziali, aggiungo anche quello di essermi lasciato permeare, negli anni Sessanta, dalla magnificenza della poesia antica e, solo successivamente, dalla modernità di Montale e Quasimodo, Ungaretti e Neruda, quattro nomi su tutti, con una predilezione per la cifra stilistica del poliedrico Jacques Prévert, tanto da subirne fascinazione e ascendenza sui miei primi rudimenti di poesia. D’altro canto non potevo pretendere allora di capire come, quanto e perché altri poeti contemporanei insistessero nel cesellare rime baciate e ingabbiate negli endecasillabi, piuttosto che dare libertà e ironia, musicalità e ritmo al verso: un problema che andava risolto, pensavo, ma di cui non farmi carico a quattordici anni.

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A sedici scrivevo poesie: intuivo le potenzialità connaturate per la scrittura, evidenziata per di più dal fatto che ogni problematica irrisolta — prerogativa di ogni adolescente che si rispettasse — la riversassi puntualmente sui quaderni già zeppi di aneddotica e storielle di mia madre che avevo raccolto non per farne un diario — genere di scrittura avulso dalle mie preferenze —, ma per redigere il “mio” primo libro da proporre “finalmente” a un editore. Ambiziosetto il ragazzo, che ne dici?

Due anno dopo, diciottenne nel 1969, la mia prima poesia fu selezionata e pubblicata nella prima antologia poetica: Orizzonti Junior, curata dalla casa editrice Nuovi Orizzonti di Milano. E fu il mio passaporto intimo per il mondo editoriale della Poesia.

Quali sono gli autori italiani o stranieri che hanno avuto un ascendente sulla tua scrittura o che avverti prossimi al tuo modo di vedere la vita, l’arte? C’è un poeta che consideri tuo mentore?

Nessun mentore. Pochi poeti si sono lasciati leggere e rileggere da me con profondo interesse per quella sorta di “imprinting autorevole” — come direbbero certi biografi americani — che i grandi autori sanno trasmettere ai propri allievi; tra questi potrei citarti Attilio Bertolucci o Dino Campana, o Giorgio Caproni o — spero non ti stupisca — l’immensa Margherita Guidacci, o il Signor B.B., il tedesco Bertolt Brecht, o gli americani Lawrence Ferlinghetti, mitico! e la sconvolgente Sylvia Plath. Non saprei dirti però quale fra tutti abbia avuto il peso più rilevante nella mia vita, oltre a un ascendente nella mia scrittura.

Parallelamente, tra gli artisti che avvertivo prossimi al mio modus operandi, al primo posto del mio personalissimo podio c’era Piero Manzoni per la sua visione concettuale, rivoluzionaria e poetica della materia; sul secondo gradino l’italo-argentino Lucio Fontana e, sul terzo, pur dovendo collocarli agli antipodi, ma a pari merito, due maestri di cui avrei frequentato ad ogni costo le rispettive botteghe se fossi nato qualche decennio prima: Adolfo Wildt e Auguste Rodin di cui seguii comunque e in solitudine le loro orme.

Quale valore ha per te la poesia, in particolare oggi, che sembra orfana di maestri e, per le numerose voci, informe e frammentata?

Già, “orfana di maestri, informe e frammentata”: non potevi focalizzare meglio lo status della Poesia di oggi. Potrei ordire la tua trama, Gloria, insinuando nel mio animo il dubbio se la poesia sia orfana di maestri a causa dei molti poeti che ancora non si sono affrancatati dal perbenismo ancillare, dal populismo sfacciato, gossipante e virale. Dovrei riflettere ulteriormente su questa presupposizione. Ma voglio aggiungere a margine — con un pizzico di ottimismo — che Poesia è pensiero libero nel suo significato più alto, oltre che antidoto contro egoismi e narcisismi che affliggono compulsivamente la scrittura contemporanea.

Ogni singolo afflato di libertà — ecco che riaffiora l’utopico —, ogni verso che defletta dall’asservimento al potere è per me tassello nuovo per un nuovo mosaico epocale. Il poeta necessario alla visione del mio micro-macro cosmo — ecco che affiora il distopico —, il poeta icasticamente riverberante ha fatto le valigie, purtroppo, seguendo inesorabilmente il Ventesimo secolo. Detto questo, sento di essermi fatto dei nemici! Vorrà dire che busserò alla tua porta e ti chiederò ospitalità…

Come nasce la tua ispirazione? Ci sono momenti del giorno privilegiati? Attribuisci importanza alla componente autobiografica e al rapporto con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

L’ispirazione nasce dalla frequentazione di luoghi e persone, flora e fauna, di notte e ultimamente di giorno. L’ispirazione, insomma, nasce da quanto e come io mi lasci abitare dal silenzio foriero di ascolti sempre nuovi, mi lasci abitare dall’alta collina lecchese dove vivo e dai boschi del Parco del Curone che la incorniciano, mi lasci abitare dalle persone che più non frequento in presenza a causa del Covid e dai vuoti o dai pieni esistenziali che mi tendono il taccuino da riempire di note, segni, numeri, disegni o chissà che altro. E quando l’ispirazione cede, allora lavoro sugli appunti, anche a distanza di settimane, mesi, anni. Il tempo, il mio, non ha calendario ed è il bene più prezioso che oggi posseggo e che ho imparato ad amministrare senza lancette, per l’appunto.

Quanto alla componente autobiografica, che intrama e struttura il mio versificare, penso che sia inscindibile dal Dna creativo, o compositivo come dir si voglia di chi scrive; in altre parole, se la poesia è vera non può che inverare il contenuto.

La Poesia, l’hai vissuta attraverso il tuo lavoro di artista e poetico: ha trasformato la tua vita, e come ?

Poesia e bellezza, Ragione e sentimento: poli che si attraggono per concepire i contenuti di un’opera. Idem per simbiosi e sintesi: macchine potenti che si attivano ogniqualvolta l’ispirazione prevale sulla scrittura o sulla scultura.

Ti confesso tuttavia, e con umiltà, che né la Poesia — per come la intendo io — né la scultura abbiano trasformato la mia vita; la mia vita è ed è sempre stata vissuta in ambito poetico sia che dirigessi artisticamente un periodico di moda o edonistico o equestre, sia che scrivessi o facessi grafica, oppure che disegnassi o scolpissi. Questo stato di «grazia» — voglio chiamarlo così anche se la locuzione è impropria poiché pertiene notoriamente al sacro — mi ha arrecato incomprensioni e solitudini professionali, amarezze e profondi dispiaceri; ciononostante i riconoscimenti per il mio lavoro svolto o in progress si sono spesso rivelati più gratificanti di quanto mi aspettassi. E questo è un fatto che mi riempie ancora oggi di gioia e orgoglio.

[Continua]

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Marigo
Adriana Gloria Marigo per la rubrica Lentissima intorno e folgorante

scritto da:

È laureata in pedagogia indirizzo filosofico. Poetessa, aforista, critica letteraria, collabora con varie riviste di cultura letteraria; dirige la collana di poesia Alabaster per Caosfera Edizioni. L’essenziale curvatura del cielo, La Vita Felice, 2012; Senza il mio nome, Campanotto Editore, 2015; Astro immemore, Prometheus, 2020.

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