Per gioco

Per gioco

C’era, nell’aria, profumo di sera e di benzina. Lo si annusava, lungo Sepulveda, ed era dolce, e graffiava la gola senza fare troppo male. Si partiva con la bocca arsa, dalla Valle, e gli occhi disegnati dall’ansia. Claire non avrebbe continuato a farlo, si ripeteva sul sedile posteriore. Solo ancora un po’, come promesso. Due, tre mesi. Il tempo necessario per uscirne, diceva a sé stessa.

Si muoveva lento, il traffico, e la penombra si addensava mescolandosi all’aria calda, inquinata. Chi l’accompagnava restava in silenzio per l’intera durata del viaggio, concentrato a fissare il colore dei semafori e l’aria che, lentamente, diventava dorata. È d’oro, la sera, a Bellagio Rd., e le piante, i giardini, ne sono appena sfiorati. Una polvere leggera che respiri appena scendi, mentre l’auto nera si allontana, in discesa, accelerando senza fare rumore tra le siepi.

Nessuno abitava quella casa.

Solo lei e chi, quella notte, doveva essere ospitato. Quando suonò il campanello, il portoncino blindato si aprì a comando, un fruscio appena accennato. Si strinsero la mano, in salotto, mentre l’ultimo sole, filtrando dalla vetrata, illuminava i muri di pietra nuda. Le presentazioni non erano sufficienti per immaginare l’altro, e nemmeno l’aperitivo in terrazza, i nomi fittizi pronunciati a fior di labbra che sfumavano di sotto, oltre la vasca e il gelsomino. Ci si osservava di nascosto, lo sguardo che fuggiva di lato su Los Angeles, immensa. «Scott, molto lieto», le disse stringendole la mano, e Claire si sentì lontana dalla Valle, dal condizionatore che la svegliava, la notte, simulando la frenata di un’auto sull’asfalto o, peggio, la serratura forzata da chissà chi. Quell’uomo, vestito come un avvocato, la incuriosì. Nessuno di loro, a quell’età, si accontentava, pensò. Gli guardò le mani e il collo, la pelle di un sessantenne scolpita dal sole.

Prima di incontrarsi, gli altri sapevano di lei tutto ciò che era necessario; Claire, al contrario, ignorava qualsiasi dettaglio, eccetto l’orario e il nome dell’autista che l’avrebbe portata all’appuntamento.

Rimasero in salotto un’ora.

Non le sembrò nulla di diverso dal solito, si disse Claire, rivestendosi. Nel silenzio, il tempo sembrava un animale ammaestrato, senza accelerazioni o ritardi inutili, dolorosi. Fuori era buio, una distesa di luci lontane che non potevi toccare, e la sensazione che qualcuno, di lì a pochi giorni, avrebbe pagato il dovuto, come sempre. Scott la guardò, serio, e le chiese di indossare un maglione leggero. L’avrebbe trovato in un cassetto, nell’armadio, al primo piano. Claire smise di pettinarsi e si guardarono senza sorridere. «Mi farebbe piacere», le disse. «Ci sono anche un paio di jeans, mi hanno assicurato».

Le domandò di vestirsi così per lui, e di cucinare ciò che preferiva, senza limiti di tempo. L’avrebbe fatto per loro, le ripetè. Vestita, Claire, come a casa, scalzi entrambi, la radio accesa e le lampade, orientabili con un click, a illuminare il tavolo da pranzo. Claire annuì. Non era brava, in cucina, ma decise di non deluderlo. Avrebbe simulato in modo naturale, senza rischiare troppo. «Mi risponda ciò che vuole. Ma, la prego, mi risponda», disse Scott, apparso all’improvviso, mentre lei apriva il frigorifero. «È importante, per me».

A Claire non sembrò più un lavoro ben pagato, né tutto ciò che, nella vita, detestava fare.

Rispose alle sue domande, prima di sedersi e cenare, raccontandogli, come richiesto, il ritmo della propria giornata, l’ora in cui, il mattino, usciva di casa, le chiacchiere in palestra. Scott, dapprima, la ascoltò in silenzio, gli occhi fermi sul suo volto. Si scambiarono, poi, domande di rito, coniugali. Claire parlò senza timore di sbagliare, seguendo il tono dell’altro che, con attenzione, la portava per mano, facilitandole il percorso. Il passaggio di un aeroplano, in atterraggio, smorzò il ritmo, poi ripresero quel dialogo inventato. Anche le pause, i silenzi, pensò Claire, le sembravano momenti probabili. Attimi che, in quell’istante, mentre parlava, le appartenevano.

La pasta era quasi pronta, Scott si alzò e sistemò i piatti e le posate sul tavolo, senza tovaglia. Un modo informale di sentirsi con lei, come lui avrebbe desiderato fosse. Cenarono insieme, cadenzando gli sguardi con frasi credibili. Accennava solo un sorriso, Claire, nei momenti più complicati, quando la strada si trasformava in salita. Scott, alzatosi per cambiare i bicchieri, le chiese quando il padre le avrebbe riportato il bambino, quella sera, dopo cena. «Ti ha confermato l’ora esatta?», le domandò serio, la camicia bianca e i pantaloni eleganti, senza orologio. Era in piedi, Scott, nella penombra della sala da pranzo, illuminato dalle luci della distesa che salivano a tratti, una marea densa come quell’incontro. «Più tardi», rispose Claire, e sentì che ogni sua parola, in quella casa, stava diventando credibile, e che qualcuno, oltre a lei e a quelle posate lucide, l’avrebbe ritenuta tale, per gioco.

Si alzarono, la tavola apparecchiata e, nell’aria, il fumo di sigaretta. Giunsero, nella notte di Bel Air, due auto identiche tra loro, silenziose. Si salutarono seri, Scott e Claire, la stretta di mano dell’inizio e il rumore secco delle scarpe sul marmo dell’ingresso. Sepulveda, verso la valle, era deserta: i semafori, un Seven Eleven, la discesa.

Corrado Passi
Corrado Passi per la rubrica Narratio Memoriae


scritto da:

A quarant’anni lascia la professione medica e si trasferisce in Sudafrica, dove vive. Ha scritto la guida Cape Town (Polaris 2016), i romanzi Oltre la vita felice (Polaris, 2017), La jacaranda fiorita (Il Seme Bianco 2017), L’intensità della luce (Emersioni, 2018), Los Angeles, paradise (Emersioni 2019), Rego Park (Castelvecchi, 2021), Liturgia delle pianure (ReadAction Editore, 2023), Il sogno assassino (Castelvecchi, 2024).

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